Le piccole incongruenze degli incontri quotidiani vengono interpretate o con stupore o come fonte di reale disagio. Pertanto un semplice saluto può diventare lo spunto di una comunicazione autentica o l’occasione per ridere di noi stessi e sdrammatizzare ciò che è serio.
«L’insignificanza è la chiave della saggezza, è la chiave del buonumore… e come Hegel dice il vero umorismo è impensabile senza l’infinito buonumore. Non lo scherno, non la satira, non il sarcasmo. Solo dall’alto dell’infinito buonumore puoi osservare sotto di te l’eterna stupidità degli uomini e riderne». (M. Kundera, La festa dell’insignificanza).
Sono d’accordo con quanto afferma Milan Kundera nel suo libro La festa dell’insignificanza perché sono fermamente convinta che l’umorismo è un elemento fondamentale che salverà il mondo in quanto la leggerezza della parola presuppone acuta intelligenza e serietà di pensiero. Mi piace immaginarlo come la possibilità di guardare le cose attraverso un taumascopio. Focalizzi un oggetto e lo vedi attraverso una molteplicità di scomposizioni, ricomposizioni, proiezioni che sono in costante movimento e mai statiche. Se ruoti il tubo poggiato sull’occhio, le figure complesse che si generano assumono colori e forme diverse, si fondono con esatta simmetria, cambiano in continuazione senza mai ripetersi.
Accade la stessa cosa se si punta l’obiettivo verso una persona. Questa si scompone in tanti elementi e si ricompone con una sua logica come in un quadro di Picasso: naso sotto la bocca, occhio laterale sovrapposto al mento, esplosione di luce sulla fronte.
Tutte le nostre giornate, con il loro susseguirsi di gesti, movimenti, sguardi si scompongono e si ricompongono come frammenti di puzzle che solo nella magia degli incastri esatti creano unitarietà e hanno significato. Altrimenti sono oggetti di forme diverse ciascuno con un proprio frammento di immagine. «Anche nella vita le persone si incontrano, chiacchierano, discutono, litigano, senza rendersi conto che si rivolgono le une alle altre da lontano, ciascuna da un osservatorio situato in un luogo diverso del tempo» (Kundera 2013: 33).
Parlarsi è altro dal capirsi, un dialogo è altro rispetto all’incrocio di due monologhi, l’io e il tu sono altro rispetto al noi. Riconoscersi, vedersi, ascoltarsi, raccontarsi aiutano a ridurre lo spazio tra i mondi paralleli dai quali ciascuno si fa osservatore di se stesso. Quotidianamente ci si trova con altre persone, conoscenti, colleghi, superiori e come spesso accade, agganciati dalla fitta rete di formalità, ci si ferma e si scambia un saluto. Un saluto cordiale, educato che, nella fretta quotidiana e nella superficialità dei rapporti, è solo buona creanza. Non è importante sapere coma sta l’altro, che emozioni prova o quali dispiaceri lo affliggono, è superfluo sapere se in quel momento è felice, contento o è altrove. E’ importante fermarsi, salutarlo e la buona educazione impone, chissà perché, di chiedere “Come stai?” Frase spesso accompagnata da un sorriso aperto e uno sguardo distante, perso in chissà quale spazio.
La risposta è scontata, o quasi sempre è scontata. Così scontata che viene pronunciata senza pensarci, così scontata che non la si ascolta nemmeno: “Bene , grazie”. Avendo avuto rassicurazione sullo stato di benessere, ciascuno si allontana, conservando il sorriso sulla bocca, lo sguardo perso nel vuoto, la fretta di correre e il senso di tranquillità dato dall’appagamento di un bisogno senza senso.
Cosa accade se la risposta non è scontata? Se, pur avendo un bel sorriso sulle labbra, si risponde “Abbastanza male, Grazie!!!”. Grazie, perché la buona educazione è d’obbligo, anche se la risposta è tutt’altro che tranquillizzante: abbastanza male.
Panico, disorientamento. Per qualche frazione di minuto lo sguardo perso nel vuoto torna ad essere presente con una punta di sgomento, un guizzo di stupore. Che fare? Che dire? La buona educazione cosa esige? Don’t worry be happy! Nulla. Il viso imperscrutabile, il sorriso stampato, il corpo proteso e la veloce ricerca di un motivo per andar via, per sfuggire all’obbligo che impone il chiedere ulteriori spiegazioni ad una risposta niente affatto rassicurante.
Andare via è preferibile al chiedere perché.
Con gran sollievo si viene lasciati in pace, liberi dal fornire ulteriori spiegazioni e contenti sapendo di aver posto un freno ad una inutile banalità. Una risposta educata, pronunciata con tono garbato, senza infingimenti e palesemente vera, a volte, consente di raggiungere due obiettivi. Uno, prestare attenzione a chi, per mera educazione, si sente obbligato ad instaurare una parvenza di relazione (meglio chiedere che tempo fa; è una conversazione educata e senza implicazioni. Tanto se piove o fa bello c’è sempre qualcosa da dire o di cui lamentarsi).
L’altro obiettivo è quello di sollevare l’interlocutore dall’interesse inutile sul tuo benessere: difficilmente, incontrandoti, ti chiederà nuovamente “Come stai?”. Poiché vi sono giorni in cui le cose sono più cupe del solito e, con la luna un po’ di traverso, non c’è voglia di intrattenersi e parlare del nulla, notare che una verità così semplice, pulita, direi ovvia crea imbarazzo e disorientamento fa ritornare il sorriso e un po’ di buonumore.
Intelligenza, prontezza di spirito e un po’ di ironia sarebbero sufficienti per creare una intimità nuova e favorire un dialogo. Sempre se si è disposti a farlo. Se il nostro sentire, il nostro vedere, la nostra percezione si spostassero, per brevi istanti, di qualche grado, verso un orizzonte che non è circolare (inizia e finisce con il proprio ombelico), nuove porzioni di paesaggio, nuovi rumori e nuove forme e nuovi colori si rivelerebbero ai nostri occhi (e credo al nostro cuore). E con i paesaggi, colori, suoni e forme, anche nuove prospettive.
Ci aiuterebbe a non essere soli.
Riferimenti bibliografici
Kundera, M. 2013. La festa dell’insignificanza. Milano: Adelphi.
Giuseppina Marselli
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Giuseppina Marselli, funzionario informatico presso il Dipartimento di Storia Società Studi sull’Uomo dell’Università del Salento. Laureata in Scienze dell’Informazione si occupa di apprendimento e tecnologia ed ha un particolare interesse per gli aspetti comunicativi multimediali legati all’utilizzo dei nuovi media in ambito formativo e non. Partecipa a vari progetti di ricerca e continua a studiare l’impatto emotivo e relazionale che la tecnologia esercita sulla nostra vita. Si occupa di progettazione e di realizzazione di Learning Object usabili su differenti temi che spaziano dall’intercultura alla comunicazione.
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