Aaron è il più giovane di due fratelli ed è l’unico sopravvissuto ad una tragedia del mare in cui cinque giovani hanno perso la vita. Nello sperduto villaggio della Scozia dove il giovane vive, il drammatico evento viene vissuto all’insegna di antiche superstizioni e leggende. Aaron, protagonista del film “Il superstite” di Paul Wrigt, si trova dunque a vivere nella condizione paradossale di essere considerato colpevole della propria salvezza. Seguito dalla camera a mano del regista, il ragazzo è oggetto di sguardi all’inizio sbalorditi che lentamente declinano verso la disapprovazione. La sola presenza di Aaron equivale al ricordo indelebile della sventura abbattutasi sul villaggio. Nel momento più intenso della vicenda narrata dal regista scozzese, la comunità – quasi un soggetto collettivo – inizia a pensare che la presunta instabilità del ragazzo possa essere la vera causa della tragedia. Il clima in cui vive non lascia indifferente Aaron, che subisce una metamorfosi, divenendo ciò di cui gli altri lo accusano: un essere da tenere alla larga. Nelle mente del ragazzo si insinua la leggenda secondo cui solo l’uccisione del mostro marino che ha causato la tragedia può restituire alla vita i cinque coetanei scomparsi. Così, attraverso un costante ricorso al flashback, Wright ci porta nelle mente del ragazzo in cui ricordi e realtà, immaginazione e paura si amalgamano in una miscela giudicata dagli altri follia.
Il film, che arriva nelle sale il prossimo 6 marzo, è valso al regista la candidatura, come miglior esordio, negli Oscar britannnici (BAFTA 2014). “Il superstite” è un film intenso sull’approccio alla diversità, sulla paura, ma anche sul labile confine che separa la realtà dalle ossessioni. È dunque un lungometraggio sulla complessità di una vicenda psicologica, ben narrata in tutte le sfumature in cui essa si dispiega. Gli attori George McKay, nella parte di Aaron, e Kate Dickie, nel ruolo della madre Cathy, sono davvero bravi ad incarnare la tensione psicologica e la resistenza del coraggio propri dei protagonisti. Dal punto di vista stilistico, occorre segnalare i diversi tipi di grana del video di cui il film si compone e che non infrangono, ma anzi rinforzano, l’unità narrativa rispetto alla quale avrebbe forse giovato l’eliminazione di qualche scena che rischia di appesantire una trama comunque avvincente.
Nel clima plumbeo della scena finale del film, alcune grida richiamano gli abitanti sulla spiaggia. Anche Cathy accorre, devastata dall’ennesima scomparsa del figlio. Ciò che si para di fronte ai loro occhi è tale da immobilizzare tutti i presenti. Solo Cathy, spinta da una forza interiore, si avvicinerà alla misteriosa presenza che attende sul bagnasciuga. E così, solo nei fotogrammi finali sapientissimamente scelti dal regista, mentre gli abitanti del villaggio riacquisteranno la propria libertà, il film troverà il suo senso definitivo.
[Pubblicato nella rubrica PUNCTUM del Nuovo Quotidiano di Puglia]
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