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La politica di fronte alla sfida dell’insignificanza

In Uncategorized on 18 March 2014 at 4:03 PM

congedo

1. Nel 1950, Giorgio La Pira, indimenticato Sindaco di Firenze ed esponente di spicco del Cattolicesimo democratico, indicava nell’«attesa della povera gente» un riferimento irrinunciabile per l’azione politica. Nelle sue parole, l’obiettivo dichiarato del «pieno impiego» non era da intendersi in termini meramente economici, ma nel senso del diritto di ciascuno al dispiegamento delle proprie capacità. Si trattava di un fine per così dire “alto”. Quali strade dovrebbe intraprendere la politica per recuperare una tale nobile destinazione?

Saverio Congedo. La questione del lavoro che poneva La Pira è attuale e drammatica più che mai e si pone in termini molto concreti e non solo di diritto al dispiegamento delle proprie capacità.   Quel che non si poteva, ma ancor più non può oggi, immaginare che essa sia risolta a carico di pubblici bilanci sempre più asfittici. Occorre ricreare le condizioni dello sviluppo restituendo competitività al sistema-Italia, oggi schiacciato dal combinato disposto delle oppressioni fiscali e burocratiche e reso incapace da un reticolo inestricabile di veti e di vincoli anche di realizzare la più elementare delle innovazioni infrastrutturali. C’è in giro una sotto-cultura oscurantista, erede illegittima di quella marxista che invece era marcatamente industrialista, che lo sviluppo lo inibisce in partenza demonizzandolo. Un esempio per tutti, il Piano Paesaggistico di Vendola che di fatto configura una confisca generalizzata del territorio pugliese.

2. La politica e l’uomo come sua destinazione «Dire, infatti, “città d’uomo a misura d’uomo” è subito porre l’uomo al suo posto e si può su di esso fissare l’attenzione come su colui dal quale la città prende vita e verso il quale la città è volta come a proprio fine». Sono ancora attuali queste parole di Giuseppe Lazzati a proposito del compito della politica?

Non c’è dubbio che il valore della persona in quanto tale debba essere riferimento primario di ogni politica. Tale primato non può non inverarsi nella regola della libertà, che è poi la dimensione dello spirito, ossia del diritto di ciascuno di esprimere liberamente le proprie irripetibili vocazioni ovviamente nel rispetto dell’eguale diritto altrui ed anche al fine di massimizzare la capacità del sistema di soccorrere anche chi non ce la fa. Compito della politica è vigilare sull’efficienza di  tali primati e promuoverli nell’azione di governo.

3. Il politico incontra di fronte a sé due esigenze in apparenza contrastanti. Da un lato, i problemi che ha di fronte sono molto spesso complessi e stratificati e richiedono competenze specifiche. Dall’altro lato,l’uomo prestato alla politica deve poter comunicare, usando un linguaggio non iniziatico. Questa frattura tra specialismo e linguaggio del politico è reale o apparente? Se è reale, come può essere superata?

Non è detto che problemi complessi debbano comportare necessariamente linguaggi contorti. Al contrario una dote fondamentale del politico è proprio la capacità di fare sintesi tra ragioni diverse ed interessi divergenti. E la sintesi non può non essere chiara.

4. Oggi il politico è chiamato a fornire in tempi rapidi risposte competenti ai problemi che incontra. Se da un lato la ricerca della efficacia dell’azione politica presuppone un legittimo uso del potere, come evitare che questo esercizio non si traduca in abuso? Esiste una virtù che il politico deve incarnare?

I due più grandi pensatori politici italiani del ‘900. Gramsci e Croce, concordavano sul fatto che la morale della politica è quella del risultato. Il potere ne è lo strumento, che spesso richiede anche scelte coraggiose. L’importante è non farsene sporcare.

5. Vi è nella azione politica, specie nell’amministrazione degli Enti Locali, una forte divaricazione: per un verso bisogna fare delle scelte che possano avere un respiro lungo, per altro verso, soprattutto oggi, si vuole che ogni scelta abbia delle ricadute immediatamente percepibili. Come si riesce a bilanciare questi due orizzonti evitando gli eccessi opposti?

Si dice che il politico è quello che pensa al presente, lo statista quello che pensa al futuro. Ma non c’è stato statista che non sia stato anche politico.

6. In più circostanze vediamo che il dissenso cresce spesso su tematiche di carattere ambientale. In alcuni casi, si ha la sensazione che vi siano scelte poco oculate e scarsamente condivise. In altri casi, invece, si percepisce che nonostante discussioni durate decenni vi sia sempre chi nell’ultimo miglio aizza il dissenso, cercando di cavalcarne l’onda crescente. In che misura il politico deve prestare l’orecchio al dissenso e quando, invece, deve fare delle scelte che possano anche risultare impopolari?

Il dissenso, come il dubbio, oltre ad essere un diritto inalienabile, è un fattore fondamentale di crescita di qualsiasi sistema, perché comunque costringe chi deve decidere a riflettere ed a guardare più lontano. Ciò detto, c’è un momento in cui decidere si deve, anche sfidando un’impopolarità che, se dovuta a scelte giuste, è destinata ad essere effimera.

7. Alcide de Gasperi, un pater patriae che ebbe un ruolo fondamentale nella rinascita dell’Italia ferita e umiliata dalla Seconda Guerra Mondiale, intendeva la politica come un servizio da rendere al Paese, indipendente dall’appartenenza partitica. Quell’insegnamento è evidentemente caduto nell’oblio se la politica è diventata uno strumento per raggiungere scopi personali, in contraddizione con la stessa radice etimologica della parola. Quali strumenti Lei ritiene necessari per restituire all’agire politico la sua naturale inclinazione alla cura della res publica?

Non c’è altro strumento che la coscienza individuale. Cui si aggiunge il giudizio popolare, al quale il politico- a differenza di altri cosiddetti servitori dello Stato- deve comunque sottoporsi. La politica non è mai né migliore né peggiore della società che la esprime. E che può sostituirla alla prima occasione.

8. Il riferimento alla “questione meridionale” è divenuto anacronistico sia in letteratura che in politica. Eppure i dati sulla distribuzione della povertà e della disoccupazione, soprattutto giovanile, confermano l’esistenza di un divario economico e sociale tangibile. In quali termini può essere re-impostato il dibattito sulle differenze tra Nord e Sud, anche alla luce dei principi di responsabilità e territorialità introdotti dalla riforma sul federalismo fiscale?

La “Questione meridionale” si configura in un ritardo di sviluppo che può essere colmato soltanto con la ripresa e l’accelerazione dello sviluppo stesso. Le terapie sono le stesse della più complessiva questione del lavoro: meno tasse, meno burocrazia, più infrastrutture, più competitività. Ed in dosi più forti, visto che i nostri mali sono più profondi e più gravi.  E cioè esattamente il contrario di quel che si sta facendo in Italia e in Puglia.

9. La dottrina più illuminata, per esempio le ricerche condotte dal Centro di Studi Einaudi, ha rilevato da tempo la necessità di una trasformazione del Welfare che non mortifichi la domanda (sempre più complessa a causa dei cambiamenti demografici e sociali) ma trasformi l’offerta, attivando il principio di sussidiarietà non solo orizzontale ma circolare. È evidente che questa prospettiva risente di una visione antropologica “ottimista”, che considera l’uomo capace anche di spinte altruistiche e non solo autointeressate. Ritiene che la politica debba assecondare questa prospettiva o adeguarsi ai precetti della razionalità classica, secondo la quale l’homo oeconomicus è necessariamente un bad man?

Non c’è dubbio che il welfare come l’abbiamo finora concepito non sia più sostenibile. Non si può dare tutto a tutti e per sempre, se non accumulando debiti da scaricare poi sulle future generazioni. E’ quel che è colpevolmente accaduto in Italia e che non possiamo più permetterci. La “sussidiarietà” è certamente una strada da percorrere. Ed io condivido la visione antropologica “ottimista”. Basta vedere quanti problemi risolva e quanto bene faccia il nostro volontariato, fondato soltanto sulle donne e sugli uomini di buona volontà.

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Saverio Congedo. Nato il 15 febbraio 1965 a Lecce dove risiede. Sposato, tre figli, . laureato in economia e commercio alla Luiss di Roma ed esercita la professione di commercialista. Appassionato di politica, nel 1995 si è iscritto ad An di cui è stato presidente provinciale per un lungo periodo. Sempre nel 1995 . eletto per la prima volta nel Consiglio  Comunale di Lecce, carica che ha ricoperto per altre due consiliature. Nel 2000 è stato eletto al Consiglio regionale della Puglia nella circoscrizione di Lecce e riconfermato nelle tornate elettorali del 2005 e del 2010, risultando il primo degli eletti rispettivamente  nelle liste di An e PdL. Nel corso dei mandati regionali ha ricoperto numerosi incarichi, attualmente . Vicepresidente della I Commissione consiliare permanente (Bilancio, Finanze e Tributi) e componente delle VII (Statuto, Regolamenti, Riforme Istituzionali).

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