Il concetto di “cambiamento” sfugge ad una definizione precisa, come se l’essenza della parola avesse debordato, superando il limite imposto dalle sue stesse lettere. Nonostante ciò, ognuno di noi riesce a fornire esempi esaurienti di cosa significhi per lui il cambiamento: cambiare idea, cambiare auto, cambiare partner, cambiare noi stessi. Il cambiamento diventa una sorta di processo che coinvolge «qualcosa che ha delle caratteristiche precise e, in un determinato momento, perde quelle caratteristiche e ne assume delle altre».
Dalla nostra nascita e approssimativamente ogni anno, il 98% degli atomi che compongono il nostro organismo cambia: ciò significa che, letteralmente, non siamo più le stesse persone che eravamo un anno fa. Questo cambiamento biologico, fisiologico, programmato, preserva la struttura dell’organismo, non coinvolge l’essere e la sua essenza ed è necessario per la sopravvivenza dell’organismo stesso. Così come per gli esseri umani, ogni cosa che nel corso del tempo conservi una simile struttura interna è coinvolta da questa tipologia di cambiamento (ovviamente in diverse misure): provo a chiamarlo Cambiamento non essenziale, cioè che non riguarda l’essenza dell’essere, ma solo la sua struttura.
Tuttavia, a questa prima tipologia se ne accosta un’altra, che possiede caratteristiche molto diverse, quasi opposte: si tratta di ciò che definirei il Cambiamento essenziale. Anomalo, non regolato, non coinvolge la struttura, è improvviso ma soprattutto può non essere adattivo.
Se il cambiamento non essenziale è un viaggio in treno, il cambiamento essenziale è svegliarsi mentre si sta cadendo in mare. Nel nostro quotidiano questo tipo di cambiamento è avvertibile in modo macroscopico: il diventare genitore o anche il solo rapportarsi all’eventualità che ciò si possa verificare, un lutto, un evento reale o solo in potenza, qualunque cosa ci coinvolga in maniera assoluta, inserendo (o eliminando) nuovi elementi all’interno del nostro essere, ci cambia.
Il rapporto con l’arte in tutte le sue forme ci mette davanti a questo tipo di fenomeno: un quadro, un film, una musica, un racconto, ci provocano, sfidano la nostra integrità, il nostro essere, si lasciano guardare, ci attraggono, ci conquistano con un atto a volte d’amore, a volte di violenza. E anche nell’arte, soprattutto nella letteratura, troviamo esempi di come un cambiamento essenziale possa essere violento, irruente ed inaspettato. A volte la “rottura” con il nostro vecchio essere può essere definitiva, altre volte ci si riadatta non senza difficoltà, si cerca un nuovo equilibrio e si prova a riconciliarsi con il nuovo io.
Will Navidson è il protagonista del romanzo d’esordio Casa di foglie dello scrittore Mark Z. Danielewski. Si tratta di un personaggio ispirato non a caso alla figura di Kevin Carter, vincitore del Pulitzer per uno scatto che testimoniava la carestia in Sudan, morto suicida a 33 anni con una lettera in cui si leggeva che «non riusciva più sostenere la depressione, la mancanza di soldi e la persecuzione dei ricordi degli omicidi e dei cadaveri e del dolore che aveva visto, dei bambini affamati». Nel romanzo di Danielewski, Will è un fotografo documentarista di fama mondiale che decide di trasferirsi, insieme alla sua famiglia, in una nuova casa nella tranquilla campagna della Virginia, dove spera di recuperare il matrimonio e uscire dalla crisi artistica in cui si ritrova da tempo.
È proprio la “casa” la protagonista del romanzo, il rifugio, il posto dove ci si sente più al sicuro che ex abrupto diventa quello più pericoloso. La casa si carica di valenze metaforiche. È il nostro corpo, siamo noi stessi, l’unico posto che abitiamo e che nonostante possa diventare pericoloso, terrificante, orribile, non possiamo abbandonare. E allora ci immergiamo nei suoi meandri, nelle sue stanze, nei suoi corridoi, come i protagonisti del romanzo, con torce e funi. Perché le stanze cambiano, i muri si alzano, è buio, è freddo e neppure le bussole aiutano a ritrovare la strada per uscire da quella casa, per fuggire da noi stessi. Tutto cambia, accompagnato da un ruggito. Così, dopo ogni stanza, dopo ogni angolo che superiamo, qualcosa dentro di noi cambia: e non siamo più il professore di storia dell’arte, il fotografo vincitore del Pulitzer, uno studente di psicologia. Noi eravamo tutto ciò ma siamo altro. Siamo altro perché quello che abbiamo visto, i respiri che abbiamo sentito all’interno di quei bui corridoi ci sono entrati dentro e ci accompagneranno finché non riusciremo a fare finta di non averli mai ascoltati. Will organizza una spedizione con suo fratello Tom all’interno della sua nuova casa, munito di telecamere e altre utili apparecchiature. Un manipolo di uomini li accompagna, uomini esperti, amici di Will, che hanno affrontato situazioni al limite della sopravvivenza. Ovviamente nessuno di loro potrà fare ritorno: forse perché nessuno di loro è mai partito con Will per esplorare la sua casa; forse perché neanche Will vuole farli uscire e testimoniare quello che hanno visto. Will cambia, cambia la sua casa. Di quella spedizione non rimane altro che un filmato di quattro minuti e mezzo che però non può essere visto, sebbene di esso siano state scritte centinaia di recensioni.
La Casa di foglie è un libro particolare, il cui autore svanisce tra le pagine, sostituito da personaggi incredibili che si raccontano e si nascondono gli uni dietro gli altri. Ognuno di loro ha qualcosa da dire e invita il lettore a fare sua ogni frase, ogni riferimento (fittizio o reale) che gli viene offerto. È un libro che cambia. E alla fine potremmo non essere più come prima, con il rischio di essere peggio di prima.
Allora perché cambiare? Perché non è sufficiente il cambiamento che affrontano le nostre cellule, le nostre molecole e i nostri atomi nel corso della nostra esistenza?
Affrontiamo il cambiamento in ogni sua incarnazione, con la consapevolezza che la lotta con noi stessi sarà dura, continua, pericolosa, e che potremmo non uscirne vittoriosi.
Cambiare è pericoloso, utile, necessario, sregolato, anomalo.
Synopsis of the article in English.
The concept of “Change” eludes a precise definition, as if the essence of the word overflows, exceeding the limit imposed by his own letters: it’s like a kind of process that involves “something that has specific characteristics and, at a given time, it loses those characteristics and assumes others.”
From our birth and approximately every year, the 98% of the atoms that make up our body changes, which means that, literally, we are no longer the same people we were a year ago. This change is biological, physiological, programmed, protects the structure of the organism and is necessary for the survival of the organism itself. Just as for humans, everything in the course of time that retain a similar internal structure is affected by this kind of change: I name this kind of change “not essential” , a change that does not affect the essence of being, but only its structure.
However, there is another kind of Change, which has very different characteristics: the “essential change” is abnormal, unregulated, does not involve the structure and could not be adaptive.
If the “not essential change” is like a train journey, the “essential change” is like to wake up while you are falling into the sea.
The relationship with the art in all its forms puts us in front of this kind of phenomenon : a painting, a movie, a music , a story; they provoke us , challenge our integrity , our essence and we are attracted, we are conquered by an act of love and, sometimes, violence. Especially in the literature, we find examples of how a change can be violent , impetuous and unexpected . Sometimes the “break” with our old being may be definitive and sometimes we search for a new balance and we try to reconcile us with the new “me”.
Will Navidson, the protagonist of House of Leaves, debut novel by the American author Mark Z. Danielewski, is a world-renowned documentary photographer who decides to move with his family into a new home in the Virginia countryside.
The house is the main character of the novel , is the refuge , the place where you can feel more secure, that suddenly becomes the most dangerous place. The house (our body) may become dangerous , terrifying, horrible, but we cannot abandon it. We dive into its rooms , in its corridors , like the characters , with torches and ropes. The rooms are changing , the walls go up, it’s dark , it’s cold, we’re trying to find a way to escape from ourselves . Everything changes, with a threating roar. So after every room, every corner we Change : and we are no longer a professor of art history, the Pulitzer Prize-winning photographer , a student of psychology. We are everything else but us . Will organizes an expedition with his friends and his brother in his new house , with cameras, torches and ropes. A handful of experienced men. None of them can return , maybe because none of them has ever started with Will to explore his home, perhaps even because Will don’t wants to get them out and testify what they saw . Will Change , as his house changes. The “House of Leaves ” is a particular book , where the author fades between pages , replaced by amazing characters telling and hiding behind each others. It is a changing book, a book that changes. And in the end we may not be the same as before , with the risk of being worse than before.
So why do we change ? Why do not we change just our cells , our molecules and atoms during our existence ?
the struggle with ourselves will be tough , continuous, dangerous , and we could not come out victorious .
Change is dangerous, useful, necessary , uncontrolled, abnormal.
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Matteo Jacopo Zaterini nasce a Maglie in provincia di Lecce 28 anni fa. Dopo un primo fallimentare approccio ad un improbabile percorso universitario a Roma, torna nel Salento dove decide di iscriversi e ultimare gli studi presso la facoltà di Scienze e tecniche psicologiche nella locale Università. Appassionato di cinema, letteratura russa e videogiochi, attualmente lavora per la “Oistros Edizioni” al cui interno ha collaborato, in veste di segretario di produzione, con il regista Sergio Spina.
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