Giovanni Scarafile, Direttore di YOD MAGAZINE
In generale, che ci si riferisca alla vita individuale o alla vita lavorativa, la gran parte di noi rinuncerebbe volentieri ai conflitti. D’altro canto, va anche detto che una vita dalla quale il conflitto sia espunto difficilmente potrebbe essere considerata tale. È questa duplice natura del conflitto ad averci interpellato in questo volume di YOD MAGAZINE, partendo dalla riflessione di Karl Jaspers posta in copertina.

Karl Jaspers
Se si ha la pazienza di mettersi in ascolto delle diverse parti coinvolte in un conflitto, è difficile non rimanere sorpresi dalla varietà dei loro racconti. Essi non descrivono tanto – come sarebbe lecito aspettarsi – una stessa realtà colta da diverse prospettive, ma numerose realtà, profondamente diverse l’una dall’altra. Il risultato è che il conflitto che permea quei racconti sembra aver addirittura frantumato l’unità del reale, creando un labirinto inestricabile di elementi.
Ricostruire l’accordo significa prima di tutto provare a comporre in modo armonico e condiviso i diversi piani in cui, in ragione della situazione conflittuale, la realtà è stata scissa. L’immagine che abbiamo scelto come copertina si riferisce esattamente alle forme mutevoli e cangianti in cui la realtà viene convertita all’interno di una situazione conflittuale.
Ovviamente, dei conflitti esistono diversi piani di lettura possibili e la letteratura in merito ne è testimonianza. Per esempio, è difficile sottrarsi ad una tassonomia dei conflitti che consente di distinguere i conflitti insanabili dai conflitti in cui la conciliazione sembra più a portata di mano. Tuttavia, e questa è la mia tesi, qualsivoglia tassonomia non può prescindere dalla originarietà di quanto indicato in precedenza in relazione alla mutevolezza delle forme costituenti la realtà conflittuale. Parlare appropriatamente di ciò che i conflitti implicano, racchiude il tentativo di dare voce a quella multivocità di prospettive cui facevo cenno in precedenza. Secondo tale chiave di lettura, abbiamo interloquito con studiosi ed esperti autorevoli e pensato gli interventi tematici ospitati in questo volume.
Oggigiorno, anche in conseguenza dell’azione di molteplici agenzie dedicate allo studio e alla risoluzione dei conflitti, come anche della riflessione di studiosi affermati, sono disponibili numerosi vademecum sul conflitto, in grado di suggerire soluzioni prêt-à-porter, consultabili all’occorrenza (per esempio, di fronte ad un litigio con un collega sul posto di lavoro o all’interno di uno scambio comunicativo disfunzionale con il proprio partner).
È senz’altro evidente che sono ben pochi coloro che, anche in virtù dei tempi sempre più ristretti imposti dai ritmi lavorativi, possono dedicare tempo ed energie a comprendere appieno le dinamiche strutturali del confliggere. Da tale punto di vista, un orientamento pratico è senz’altro utile. Tuttavia, le guide ed i manuali, per quanto performanti possano essere, non consentono di addentrarsi proficuamente all’interno della particolarità di ciascun conflitto. Concepiti per la generalità delle situazioni, essi risultano deficitari di fronte alla necessità di farsi carico del principio di individuazione di ciascuna situazione conflittuale. Si tratta di una carenza di non poco conto, dal momento che agire su un conflitto richiede non soltanto la conoscenza di leggi che regolano il confliggere in generale, ma anche una “disponibilità” nei confronti del particolare. Per raggiungere questo risultato, è richiesta una singolare disposizione da parte di coloro che, a buon diritto, possono essere considerati operatori di pace.
In conclusione, mi si consenta di fare cenno proprio a questa disposizione che costituisce la chiave di volta di ogni risoluzione di realtà conflittuale. In un saggio del 1946 dedicato a descrivere La psicologia del transfert, Carl Gustav Jung prendeva in prestito alcune categorie dell’alchimia per spiegare le possibili dinamiche della relazione tra psicoterapeuta e paziente. Lo psicoterapeuta – questa la tesi dello studioso tedesco – non rimane impassibile di fronte alle istanze del paziente, ma in qualche modo si rende disponibile a subire una modificazione.
Parafrasando quei concetti, potremmo dire che il risolutore dei confitti deve mettere in campo non soltanto una competenza intellettuale e tecnica, ma anche una qualità morale: la disponibilità a lasciarsi “toccare”, seppure ad una distanza di sicurezza, dalle vicende che è chiamato a regolare. Questa disposizione è ben descritta nel Tractatus Aureus di Hermes, uno scritto originariamente arabo, citato dallo stesso Jung: “Chi vuol essere iniziato a quest’arte e a questa sapienza nascosta deve liberarsi del peso della superbia, essere pio e probo, profondo di spirito, umano di fronte agli uomini, di viso ilare e di lieta disposizione”.
Non una mera esercitazione accademica, ma l’attitudine a mettersi in gioco. Di fronte al conflitto, è dunque richiesta l’integrità dell’umano.
Sarà questo il motivo per cui ancora troppi conflitti risultano irrisolti?
Leggi l’intero numero di YM.
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