Roberto Greco
La voracità, l’ingordigia distruttiva che talvolta assale nel momento dello svago personale e collettivo, permette, quasi come fosse un contraltare, una lentezza nella ricerca di stili che siano in grado di definire le generazioni viventi (solo in determinate parti del mondo, s’intende). Così non è stato fino a pochi decenni fa, in cui arti come moda e musica segnavano punti di demarcazione di un’epoca.
In queste brevi note, vorrei provare a mettere a tema l’evoluzione creativa (e relativa fruizione) musicale degli ultimi anni, che per le sue caratteristiche – che spiegherò tra breve – definirò “etica”. Sarebbe anacronistico parlare di quanto l’industria musicale abbia subìto una rilevante crisi, nonostante la debole risalita verificatasi a cavallo dell’ultimo biennio. L’intenzione è un’altra. Il problema che l’industria discografica stessa tende a nascondere sotto il tappeto è la sempre minore possibilità di scelta musicale che ha l’ascoltatore in relazione non solo a cosa vorrebbe ascoltare ma anche, secondo ciò che gli si propone, a scapito della varietà (stilistica e non solo) e della qualità. L’utente medio è talmente assuefatto al facilissimo accesso alla musica da non sentire prima di tutto il bisogno di acquistarla (e in questo lo streaming legale ha salvato un bel po’ l’industria) né, in secondo luogo, sente il bisogno di supportarla. Sono le turnée a garantire gli incassi agli artisti che con le vendite dei soli dischi, nella migliore delle ipotesi, riescono solo a rientrare nelle spese. Il mezzo-internet, purtroppo, è sfruttato solo in parte a dispetto delle sue potenzialità e la nascita degli stores digitali ha avuto se non altro il pregio di far nascere una generazione di “ascoltatori 2.0”. Prendo in prestito il “2.0” da Tim O’Reilly, CEO della O’Reilly Media, che si accorse dell’evoluzione del Web affiancata, per la prima volta, da un feedback dell’utente definendola, appunto, Web 2.0. L’ascoltatore 2.0 appartiene alla stessa generazione che ha vissuto coscientemente il passaggio dall’acquisto fisico (con tutti i rituali del caso, il negozio di dischi di fiducia e così via) alla comodità dell’acquisto digitale: spazio utilizzato dal disco rigido e non più dalla libreria di casa. Il nuovo ascoltatore è figura ancora non storicizzabile perché nascosta dal “carnefice musicale”, da chi si accontenta, ascoltando qualsiasi cosa (gratis). Eredita dal vecchio ascoltatore il rispetto riservato al prodotto e la voglia di giudicarlo, attraverso elogi o critiche scritti sulle piattaforme dedicate, siano esse gli stessi stores, i forum e le pagine ufficiali, sperando che l’artista in questione abbia l’accortezza di leggerli. Il punto di forza di queste strategie è il recupero del fan. Ed è proprio il legame diretto tra artista e acquirente a garantire ancora qualche risultato di vendita. Piattaforme musicali italiane come Artist First sono nate con lo scopo di riavviare questo contatto, mettendo in vendita edizioni discografiche (cd e vinili) personalizzabili o autografate. Una nuova alternativa, stavolta nata oltremare, è quella del crowdfunding, del finanziamento collettivo. L’acquirente diventa un mecenate e finanzia, se lo ritiene interessante, il progetto dell’artista che ha chiesto il sovvenzionamento.
In Italia, la cantante Meg ha dato alle stampe la sua ultima opera, Imperfezione, proprio grazie ad un crowdfunding, impreziosendo ogni copia acquistata del cd o del vinile non solo attraverso una dedica o delle personalizzazioni particolari ma anche con un packaging “imperfetto”, fatto a mano. È necessario allora parlare di ascoltatore etico: egli ascolta e, soprattutto, sceglie cosa ascoltare e cosa supportare. In tal modo, diventa parte integrante nel processo creativo dell’artista. Se i risultati premiano queste nuove strategie di vendita, la ricerca di un contatto più puro con i propri fan dovrebbe partire dall’artista stesso. Verrebbe meno l’autoreferenzialità, vero veleno che rende sempre più piatta la già magra scelta musicale in questi ultimi anni.