Silvia De Luca
Negli spot pubblicitari che ogni giorno ci vengono mostrati è facile vedere oasi naturalistiche, allevatori premurosi che portano al pascolo le mucche con il fiocco rosso, prosciutti considerati alla stregua di neonati. Sembra la normalità.
In rete, tuttavia, sono disponibili diversi documentari che pongono seri dubbi su questa rappresentazione della realtà. Uno di questi documentari, realizzato da Damiano Gori e Marco di Domenico, intitolato Mistificazione e sfruttamento – contro i mattatoi, lascia intendere che le immagini degli spot pubblicitari siano delle deformazioni della realtà, a vantaggio delle aziende produttrici, del commercio e del mercato della salute.
Vediamo, per esempio, un vitellino sul cui muso è stato inserito un dispositivo che rende vani i suoi tentativi di bere il latte della madre, destinato all’imbottigliamento. Noi non sappiamo se, come dice una delle didascalie del video, ciò che le immagini descrivono sia la normalità. Tuttavia, siamo consapevoli del fatto che quei comportamenti abbiano ben poco in comune con l’umano.
Si potrebbe continuare descrivendo le crudeli pratiche mostrate dal documentario, ma forse conviene soffermarsi su noi spettatori/consumatori, provando a distinguere almeno tre categorie.
1) Colui che “preferisce non vedere”. Si tratta di coloro che preferiscono non guardare con la dovuta attenzione. A differenza di un tempo, oggi ci sono numerosi modi per venire a conoscenza dello sfruttamento degli animali. È sufficiente decidere di aprire gli occhi;
2) Colui che “sa, ma…”. È la categoria più ampia e variegata su cui, a mio avviso, occorrerebbe che si concentrasse l’attenzione da parte degli studiosi di etica della comunicazione. In particolare, occorrerebbe interrogarsi sulle modalità che hanno trasformato la necessità di cibo in arte culinaria, in cui il gusto prevale sul giusto.
3) Colui che “sa e agisce”. Appartengono a questa categoria il cosiddetto “egoista”, il quale sceglie di cambiare alimentazione per un tornaconto personale, come il tenere sotto controllo la salute; il “cosciente”, che è informato della situazione e giunge a modificare l’atteggiamento nei confronti della vita stessa.
In generale, vi sono due modi di rapportarsi all’altro. Il primo, ponendo al centro l’io, rende l’altro una subordinata e lo reifica. Il secondo modo invece non mette al centro né l’io né l’altro, ma la relazione, cioè quello spazio tra l’io e l’altro.
Queste indicazioni generali possono essere fatte valere anche in materia di etica del vivente, sollecitando l’adozione di pratiche più appropriate e non mistificatorie. Cambiare atteggiamento è possibile. Basta mettere da parte abitudine ed egoismo, meglio definito come specismo, per lasciare spazio alla corretta informazione, alla consapevolezza e al rispetto dell’altro. Che non sempre è umano.
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Silvia De Luca. Studentessa di Filosofia, laureanda con una tesi in Etica della Comunicazione presso l’Università del Salento. Partecipa alle attività del Lab in Applied Ethics and Interdisciplinarity presso il cPDM della Facoltà di Ingegneria dell’Università del Salento.
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