Roberto Greco, Giovanni Scarafile
Quanto siamo veloci a percepire un’immagine? Quali conseguenze può avere una tale domanda nelle attività che svolgiamo ogni giorno?
Mary Potter, Professoressa Emerita di Psicologia del Massachusetts Institute of Technology, autrice di un recentissimo studio al riguardo, ci aiuta ad orientarci nell’ambito del primo quesito.
Il cervello umano – scrive la scienziata – è in grado di processare un’immagine in soli tredici millisecondi. Si tratta di un vero e proprio record, considerando che in studi precedenti si era sostenuto che fossero necessari almeno cento millisecondi.
Secondo la Potter, dunque, ciò che il cervello compie tutto il giorno (tra le altre cose) è una reazione continua a stimoli visivi altrettanto continui. In altre parole, ogni persona cerca solo di vedere ciò che ha di fronte, scegliendo, tra ciò che vede, solo le informazioni necessarie ad una comprensione, perlomeno, sommaria.
Gli occhi spostano lo sguardo circa tre volte al secondo e una capacità “allenata” nel processare le informazioni viste può sicuramente portare lo sguardo su un nuovo target in modo più dinamico. Quando lo sguardo “colpisce” qualcosa, la retina invia le informazioni al cervello, che ne elabora forma, colore ed orientamento.
L’esperimento della professoressa Potter si è svolto con l’utilizzo di una risonanza magnetica funzionale, aumentando gradualmente la velocità di presentazione su schermo di alcune immagini, in precedenza non mostrate ai partecipanti. Studi precedenti (Del Cul, A., Baillet, S., & Dehaene, S. 2007) avevano mostrato come il cervello impiegasse circa cinquanta millisecondi per spedire l’informazione visiva dalla retina alla corteccia visuo-temporale, per poi spedire l’informazione ad altre aree cerebrali per “confermare” ciò che l’occhio aveva percepito (con un’ulteriore tempistica da considerare).
In questo modo si è dimostrato invece come l’elaborazione delle immagini non viaggi su tempistiche così “lunghe” ed articolate. Diminuendo progressivamente il tempo di percezione, l’ipotesi di un tempo percettivo inferiore per le immagini è stata confermata.
Non solo, un costante allenamento visivo ha ampiamente aumentato i risultati conseguiti dai partecipanti all’esperimento.
Lo studio ha inoltre dimostrato che l’informazione visiva, per essere processata, ha bisogno di un solo canale di elaborazione. Si tratta del canale che parte dalla retina e arriva al lobo temporale, zona cerebrale adibita al riconoscimento visivo.
A sua volta, lo sguardo necessiterà di ulteriore tempo per decidere sull’obiettivo su cui rimanere concentrato.
Nonostante la brevissima durata di presentazione, il cervello continua il processo di elaborazione e l’informazione continua ad essere trattenuta in memoria. Com’è stato possibile provarlo? Al partecipante veniva mostrata la lista di immagini che aveva visto durante l’esperimento. Se ne ricordava la presenza, aveva sicuramente richiamato alla memoria gli stimoli, nonostante la velocità estrema con cui erano stati presentati.
Prima di illustrare la specificità pratica di quanto illustrato finora, si pensi alla visione di un fulmine. Osservare un fulmine equivale a sfruttare le stesse caratteristiche visive e di memoria descritte sopra. Siamo in grado di vedere la forma del fulmine – ed eventualmente di ricordarla – nonostante esso compaia nel cielo per pochissimi decimi di secondo.
Il fulmine, pur presentandosi alla vista per un tempo infinitesimale, è processato e riconosciuto comunque come informazione visiva.
Bene, ora consideriamo quanto abbiamo illustrato finora e proviamo ad adattarlo alle consuete attività in cui siamo impegnati.
Al giorno d’oggi, sia nel luogo di lavoro sia nelle nostre vite private (si pensi ai social network), tutti facciamo uso di immagini. Esse sono spesso utilizzate come accompagnatrici delle parole. Si pensi, solo per fare un esempio, all’uso di immagini nelle presentazioni durante una conferenza. Quando ciò accade, le potenzialità di una immagine sono ampiamente sottostimate, dal momento che il messaggio comunicato da un’immagine viene percepito molto più velocemente di quanto non accada con le parole.
Hillman ha osservato che «l’immagine è massacrata e imbottita di concetti» (Hilman 1984: 91). Quelle parole, anche alla luce dei riscontri di cui si parla in queste righe, vanno in direzione della restituzione o nuova attribuzione di centralità allo spettatore e alla stessa esperienza della visione. Liberati, infatti, dal peso sovraordinante di approcci teorici precostituiti, si può forse porsi in ascolto delle immagini.
Bibliografia
Del Cul, A., Baillet, S., & Dehaene, S. (2007). Brain dynamics underlying the nonlinear threshold for access to consciousness. PLoS Biology, 5, 2408–2423
Potter, M.C., Wyble, B., Hagmann, C.E., & McCourt, E.S. (2014). Detecting meaning in RSVP at 13 ms per picture. Attention, Perception, & Psychophysics, 76(2), 270-279. DOI 10.3758/s13414-013-0605-z
Hillman, J. 1984. Storie che curano. Milano: Raffaello Cortina Editore.