Maurizio Carrara
Battle in Seattle – Nessuno li può fermare (Battle in Seattle) è il titolo di un film del 2007 di Stuart Townsend. Il film ci mostra gli avvenimenti del 1999 in occasione dell’Assemblea dei Paesi membri del WTO (Organizzazione per il commercio mondiale) che vuole liberalizzare il commercio globale. Il sindaco è intenzionato a favorire lo svolgimento pacifico della manifestazione di protesta, organizzata dagli attivisti no-global, con i quali ha concordato l’assenza di violenza. Lo vediamo dire loro: “Siate duri sulle questioni, ma gentili con la mia città”. E in effetti il portavoce dei giovani invita tutti alla non violenza.
Il regista intervalla i fatti con spezzoni di interviste ai manifestanti, mostrando le loro motivazioni (decisioni delle Autorità assunte senza un processo democratico, e l’esclusione dei temi dei Diritti Umani, dell’Ambiente e del Diritto alla Salute dei Paesi Poveri). Sullo schermo passano i cortei dei sindacati dei lavoratori che appoggiano la protesta. Intanto i 40.000 dimostranti bloccano l’ingresso al Convegno e le arterie principali della città. Il Sindaco a questo punto consente alla Polizia l’uso dei lacrimogeni per favorire l’ingresso dei Delegati, ma ordina di non arrestare nessuno.
Nonostante questo iniziano le rotture delle vetrine da parte di piccoli gruppi estremisti. La TV taglia le dichiarazioni dei contestatori, mentre il Governatore chiede il coprifuoco e lo stato di emergenza. Un manifestante scrive sull’asfalto, rivolto ai poliziotti pronti alla carica: “abbracciami”. Ma la polizia inizia a sparare proiettili di gomma e lancia lacrimogeni. Una donna incinta cerca di attraversare la città per rifugiarsi a casa, ma viene colpita da un poliziotto. Sarà ricoverata in ospedale e perderà il bambino.
I Media veicolano il messaggio della violenza dei manifestanti per giustificare gli attacchi della Polizia. Ignorato invece il messaggio di un Delegato di una ONG che reclama il Diritto alla Salute per i Paesi Poveri e denuncia il costo delle medicine. Negli scontri in corso una giornalista si chiede: “perché continuano a farsi massacrare per qualcosa che non otterranno? Il Potere vuole nascondere la verità”. La donna si schiera con la protesta e si imbavaglia per esprimere la sua condanna verso i Media, venendo così arrestata. Manifestanti e poliziotti si fronteggiano: uno di questi, il marito della donna incinta picchiata da un suo collega, insegue il portavoce dei giovani senza un motivo. Il giovane viene picchiato dagli agenti e arrestato. Quando l’agente che lo ha preso di mira va in carcere a chiedergli scusa, giustificandosi con il fatto di aver perso il figlio, il giovane risponde: “Le persone che combatto sono quelle che distruggono la vita di milioni di persone, e sono sempre innocenti. È insensato che io e te lottiamo fra di noi”.
A questo punto i sindacati minacciano lo sciopero generale, e i Paesi del terzo mondo si ritirano protestando contro la manipolazione delle loro ragioni, ritenendola una forma di colonialismo. Di fatto il negoziato fallisce e i prigionieri vengono rilasciati. Escono dal carcere con la sensazione di aver fatto un piccolo importante passo avanti verso la trasparenza dell’informazione (per la prima volta una protesta di massa è stata trasmessa in diretta su Internet).
Il film si chiude passando sullo schermo i fatti conseguenti la vicenda di Seattle: nel 2001 il WTO riconosce la priorità dell’accesso ai medicinali sugli interessi commerciali, e riconosce le necessità dei Paesi più poveri; nel frattempo si tiene a Davos, in Brasile, il World Social Forum, che inizia un processo permanente di ricerca di soluzioni alternative alle politiche neoliberiste. Nel 2003 ben 40.000 agricoltori indiani si suicidano per sfuggire ai debiti, mentre negli USA milioni di lavori vengono commissionati all’estero causando diminuzione dei salari e importazioni di cibi scadenti. Ultima scritta sullo schermo: La battaglia continua.
Il regista mette in luce non solo l’incapacità delle parti di comunicare realmente, dopo l’iniziale disponibilità a evitare violenze, ma viene reso evidente il preciso rifiuto delle Autorità di comprendere la protesta e le sue motivazioni. Si vuole stravincere, cancellando dalle strade chi chiede la possibilità di soluzioni intermedie che tengano conto degli interessi deboli (oltre a quelli forti). E questo è la conseguenza di una mentalità che conosce i concetti di Umanità, Popolo, Stato, ma non considera la Persona individuale concreta che è alla base dei concetti. La scena della moglie incinta del poliziotto, che senza colpa alcuna viene picchiata da un altro poliziotto, con la conseguenza di perdere il bambino che ha in grembo, ci rende l’immagine umana degli individui coinvolti e l’assurdità delle decisioni prese. Un’Umanità negata in concreto (oltretutto il giorno dopo, a freddo, il capo della polizia nega al collega un giorno di permesso per stare accanto alla moglie in ospedale). Queste scene ci colpiscono come un pugno: ci fanno visivamente capire che l’UMANITA’ di cui parliamo è troppo spesso un concetto astratto. Tutti ne parlano, ma l’estremista incappucciato irride la donna che aspetta il bambino, senza rispetto alcuno per donne e bambini. I Potenti, non solo ignorano volutamente i bisogni e le sofferenze di tanti uomini e donne che abitano il nostro stesso pianeta, con gli stessi nostri diritti, ma usano violenza gratuita contro ragazzi disarmati e li arrestano, senza rispetto della sacralità della persona.
Noi crediamo a chi parla di Umanità e Diritti Umani, ma spesso abbiamo dovuto renderci conto che per molti, l’UMANO non comprende i neri, gli ebrei e i poveri e deboli di ogni luogo e genere. Invece l’Umanità è la somma di ogni singolo individuo. E allora è determinante ascoltare e prendersi cura di ognuno.
Il Filosofo, ma anche ognuno di noi, si ferma a guardare la realtà e si chiede cosa sta succedendo, vede i problemi, li esamina, immagina ipotesi di possibili soluzioni. Ma per fare questo, in una realtà complessa e sempre più intrecciata, con problemi nuovi sempre più urgenti, è più efficace unire i saperi di competenze diverse. E come trasmettere agli altri l’allarme e le proposte? Anche qui, da soli è difficile. Il cinema e la letteratura e ogni forma espressiva, possono aiutarci. Nasce così la necessità di trovare modi di relazione e collegamenti perché la vista sia più profonda e la voce più forte. Lavorare insieme moltiplica l’efficacia delle competenze, permette di sviluppare una progressione geometrica di idee. Il lavoro di squadra è imposto dalle cose. Penso all’esempio delle missioni spaziali, dove gli astronauti parlano lingue diverse e hanno saperi scientifici diversi. Luca Parmitano, che ha comandato per mesi la Stazione Spaziale Internazionale, ha detto: ”Il mio ruolo è creare un ambiente aperto in cui si possa comunicare bene, in modo che tutti possano svolgere il proprio lavoro nel miglior modo possibile. Richiede il controllo a terra, e il coordinamento con l’equipaggio a bordo”. I problemi che abbiamo sulla Terra sono sfide altrettanto impegnative. Negli ultimi anni sempre più economisti stanno cercando strade nuove, coltivando la speranza dello sviluppo conciliato con le necessità dell’ambiente e i bisogni degli uomini. Sono economisti, ma consapevoli che un sistema sociale di libertà effettive per ogni individuo è la premessa necessaria anche per la crescita economica equilibrata e piena. Se questa è l’urgenza e l’altezza della sfida, nessuno può ritenersi fuori e isolarsi. Occorre anzi trovare modi nuovi di comunicare in un dialogo vero, aperto, sapendo che nessuno ha in mente la ricetta perfetta. Il dialogo non è l’incontro di due cerchi chiusi come a Seattle, ma di due figure che lasciano le porte aperte per arricchirsi dei colori di ognuno, disponibili a lasciar cadere i grigi che ci portiamo dietro per abitudine e comodità. Ricordiamoci di Clinton e delle sue intenzioni di mediazione: che diventi l’approccio ordinario, ma da perseguire con tenacia e sincerità fin dall’inizio.
E nel dialogo è utile accompagnare le parole con immagini, disegni e metafore che colpiscono all’istante mente e cuore. Come fa questo film. E come fa una vignetta di Mafalda, la bambina contestatrice dei fumetti di Quino, il disegnatore argentino morto nei giorni scorsi. Nella vignetta la bambina ribelle dice: “è facile amare l’Umanità. Il difficile è amare l’uomo della porta accanto”.
Ma è proprio questa la sfida che abbiamo di fronte. Tutti insieme.
Seattle ha dato il via alla presa di consapevolezza di 2 problemi strettamente legati.
Prima questione, la democrazia. Decisioni strategiche sui fenomeni che cambiano il mondo e la vita di popoli interi, sono prese senza un processo effettivo di democrazia. Vero che i partecipanti all’Assemblea sono regolarmente Delegati dai Governi dei loro Paesi. Ma spesso sono deleghe “implicite” e silenziose, senza coinvolgimento non solo della Opinione Pubblica, ma nemmeno dei Parlamenti, senza un dibattito reale che dia consapevolezza delle cose ai cittadini.
Seconda questione, l’informazione. Il rischio di una informazione gestita dai Monopoli che uniscono Potere Politico e Economico, che silenzia le opinioni diverse e le voci di una minoranza critica, impedendo la circolazione delle Idee e delle opinioni alternative. Le immagini mostrano chiaramente l’uso distorto dei Media, completamente schierati con il Potere di cui rappresentano le ragioni, ignorando le opinioni diverse che anzi vengono messe in cattiva luce.
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