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Uno spaccato inesorabile dell’umano

In Film Review, Visioni on 25 November 2016 at 11:20 AM

Lucia Totaro Aprile

Si, proprio la banda composta da musicisti in divisa, con al seguito strumenti a fiato e percussioni. Gli intenditori affermano che gli strumenti a fiato riproducono la voce umana. È difficile obiettare ad una tale affermazione. Gli strumenti a fiato sono a contatto diretto con la fisicità più interiore dell’uomo. Un fiato è il respiro diaframmatico. È la sensualità vellutata del clarinetto. È la vibrazione contaminante della tromba. Cosa è più comunicante di una tonalità, di un accordo musicale, di un arpeggio? Cosa è più dialogante di una scala armonica? Se i rumori desolanti, che si odono nelle prima fasi del film del giovane, ma sagace, Eran Kolirin, sono il preannuncio di tutto ciò, ben vengano! Se il colore sgargiante della divisa della Banda della Polizia di Alessandria d’Egitto, recatasi in Israele per esibirsi, farà da cornice ad una partitura, non è possibile muovere critiche a tale scelta! C’è una luce radiosa, che illumina molte scene, composte, talvolta, da paesaggi brulli, con penosi caseggiati sullo sfondo, e che mitiga il silenzio, quel silenzio che non sempre è assenza di parole. Eppure, il film di Kolirin è uno spaccato inesorabile ed impietoso su taluni aspetti della condizione umana, che segnano l’errore, la colpa, il fallimento, il pentimento, l’incapacità di relazionarsi, la solitudine. Quest’ultima sembra la vera protagonista del film. Durante lo scorrere delle scene, si viene assaliti da una domanda: come è possibile non provare angoscia o non sentirsi turbati da un tale scenario? Tutta la trama, pur non sorretta, si badi solo apparentemente, da una colonna musicale, è percorsa da una delicatezza di toni, da una soavità di modi, tali da non permettere di cadere nella trappola di un esito già affidato. È l’andamento del film che fa desiderare ardentemente di ascoltare un brano, una melodia e quando vi è solo un accenno al suono del clarinetto, si fa sentire il disappunto per il desiderio deluso. Ecco udire le note, eseguite dalla voce di alcuni personaggi del film, di una celebre ninnananna; gli stessi restano attoniti, quando uno dei componenti della banda offre loro una sua brevissima composizione.

Non casuale è la scelta del regista di lasciare taluni, ma scarni, dialoghi in lingua originale ed accurata e profonda è la possibilità data allo spettatore di rispondere da sé alla domanda del timido ed introverso ragazzo, nelle vesti dell’inesperto e maldestro corteggiatore, allorché costui chiede al più giovane componente della banda, nel ruolo di navigato dongiovanni, di fargli apprendere cosa si prova alla prima esperienza d’amore. All’ingresso dei giovani protagonisti in discoteca, il film risulta accompagnato da brani musicali tipici della cultura del paese ospitante, sovrastanti la voce di colui che soddisferà la curiosità dell’aspirante amateur; in quel momento, ogni spettatore, raccolto nel proprio intimo, può inserirsi nella scena e, assunte le vesti, non dell’attore recitante, ma dell’autentico protagonista del proprio vissuto, dare una risposta: cosa si prova al cospetto dell’amore! Il film ha diversi tratti esilaranti, che a volte strappano un sorriso ed a volte inducono un vero e proprio riso. Non manca la commozione di fronte al racconto della tragedia familiare vissuta dal Comandante della Banda. Commoventi sono, altresì, i gesti di generosa ospitalità riservati alla banda, che risulta smarrita e girovaga, in un paese straniero, in una località sperduta, i cui pochi abitanti non hanno mai sentito parlare del “centro di cultura araba”, ove i bandisti dovrebbero suonare. Sentono rispondere che in quel posto “non c’è cultura” e vengono fatti oggetto di scherno. Tuttavia, a seguito della accoglienza ricevuta, si intessono le relazioni tra gli ospitanti e gli ospitati. Tra Dina ed il Comandante Tewfiq avviene uno scambio di esperienze: “la musica è meno importante oggi. Le persone pensano ai soldi”. Lei dice:” Le persone sono stupide qualche volta”. “Che effetto fa dirigere una banda?”. Egli risponde con i gesti del direttore d’orchestra e spiega che si sente un intero mondo di suoni. “È come pescare”. Se, dunque, dirigere una banda, un coro, un complesso è come pescare, cosa occorre per dialogare? Lo spiega Tewfiq, con il ripetuto gesto finale del movimento delle mani da Direttore d’Orchestra, mani che si librano nell’aria, per raccogliere l’armonia di suoni sparsi, perché dirigere, suonare è come pescare. Che importanza ha “un finale senza trombe, se non è un gran finale”, se tutto si racchiude in una cameretta, con un bimbo che dorme, al lume di una piccola lampada, cullato dal suono di un carillon? Forse, c’è tanta solitudine, ma altrettanta quiete. E non importa se non c’è una colonna sonora ad accompagnare un film tanto delicato e capace di sfiorare, se basta citare un nome, quello di Chet Baker, per sentire, nell’aria, la sua fantastica  tromba echeggiare brani come When I Fall In Love, You Don’t Know What Love Is, This Is Always, …