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Conflitti, virus e social: l’Italia divisa nell’era dell’informazione digitale

In Uncategorized on 3 December 2023 at 5:27 PM

Stefano Strusi

Negli ultimi tre anni, caratterizzati dalla pandemia causata dal ceppo virale SARS-CoV-19,  dall’invasione russa in Ucraina e, più recentemente, del riaccendersi delle ostilità tra Hamas e il governo israeliano, a seguito degli attentati terroristici del 7 ottobre, abbiamo assistito in Italia ad una sempre maggiore polarizzazione del dibattito pubblico, tra sì-vax e no-vax prima, putiniani e guerrafondai poi e, infine, tra filoHamas e complici del regime israeliano. L’ arena in cui si sono combattute queste lotte senza fine è stato dominato da un uso intensivo delle ICT e dei social media. Al netto delle differenze che è possibile osservare sotto il profilo tematico, si potrebbe sostenere che, generalmente, si è proceduti, in maniera più o meno consapevole, ad una twitterizzazione della sfera pubblica. L’assenza di spazi e tempi opportuni per lo svolgersi di un dibattito argomentato ha portato ad una contrazione e frammentazione del contenuto informativo veicolato dai media, coinvolgendo tanto la comunicazione istituzionale a sfondo divulgativo, quanto quell’insieme variegato di posizioni e autori, solitamente critici di qualunque versione ufficiale, che potrebbe essere letto attraverso il paradigma della controinformazione. Inoltre, si assiste con sempre maggiore frequenza ad un’ eccessiva personalizzazione, tanto nel ricorso al principio d’autorità per giustificare le proprie tesi, quanto per screditare le posizioni dei propri avversari, spesso presentati come nemici da sopraffare. L’elusione del merito delle questioni sembrerebbe, dunque, essere una cifra sistematica del dibattito pubblico odierno; spostare l’attenzione dal merito alla personae al posizionamentodi questa all’interno di uno dei due campi contrapposti è una delle strategie più frequentemente adottate.

Alla twitterizzazione della sfera pubblica corrisponde la proliferazione della disputa in quanto forma di  «scambio polemico», che ha origine a partire da «differenze di attitudine, sentimento o preferenza» e che può, al massimo, «dissolversi o essere dissolta». La mossa tipica della disputa è lo «stratagemma», che consiste nel tentativo «di spingere un determinato pubblico a (re)agire in una specifica maniera, inducendolo a ritenere una certa affermazione come vera» attraverso «l’inganno e la manipolazione – e.g. manipolando lo stato corrente e i bisogni informativi dello scambio» con l’obiettivo di «portare a casa il risultato (anche solo momentaneamente)» (Dascal 1998). Talvolta l’adozione di queste modalità comunicative non è intenzionale, ma è indotta dalle condizioni entro cui l’interazione ha luogo. Nei talk-show l’incedere dei tempi televisivi, le difficoltà nella conduzione da parte dell’host e la necessità di rivolgersi al pubblico impediscono l’articolarsi di un dibattito che proceda per argomenti e sia rispettoso di un’etica del discorso riconosciuta come valida da entrambe le parti. L’infotainment alimenta e risponde alla domanda di un pubblico che, scegliendo sulla base di preferenze individuali o del proprio gruppo di appartenenza, riproduce quelle stesse dinamiche, a cui assiste attraverso lo schermo del proprio televisore o laptop, rafforzandole e soddisfacendo tentazioni identitarie.

Marcelo Dascal affianca alla disputa e alla discussione, suo contrapposto ideale che procede a partire da assunti comuni, seguendo un metodo condiviso, una terza specie di scambio polemico, la controversia. Quest’ultima, pur riconoscendo la natura non disinteressata delle parti in conflitto, si svolge attraverso un’attenta messa in discussione degli assunti di carattere metodologico, epistemologico e fattuale, senza ridursi per questo ad una disamina di attitudini, sentimenti e preferenze individuali. Tale messa a vaglio ha luogo mediante l’uso di argomenti, che, per quanto «non abbiano direttamente a che fare con la verità, ma con la credenza», si propongono di agire su quest’ultima «fornendo delle ragioni che non sono né logicamente vincolanti né impersonali» (Dascal 1998) ma soppesabili e confrontabili tra loro. Il tipo di obbligazione che caratterizza le conclusioni di una controversia differisce nel tipo di vincolo a cui dà luogo la disputa, poiché lo scopo di quest’ultima non è con-vincere, ma vincere. Questa differenza può essere riscontrata innanzitutto in difformità di carattere morfologico tra la controversia, per sua natura aperta ad ulteriori problematizzazioni, e la disputa, chiusa nel proprio orizzonte identitario. Ciò che permette di distinguere ulteriormente tra la controversia e la disputa è la presenza, nel primo caso, di un «pubblico colto» (Dascal 2020), capace di adempiere alla doppia funzione di destinatario e arbitro del corretto svolgersi dello scambio, impedendo di fatto il degenerare di questo in una disputa.

L’assenza, oggi, di una classe intellettuale capace di ri-costruire il «villaggio globale» descritto da Marshall McLuhan e di evitare un’ulteriore «cyber-balcanizzazione» (Van Alstyne & Brynjolfsson 1996) della sfera pubblica, costituisce uno dei principali segnali di via libera alla proliferazione della disputa come forma privilegiata e quasi unica di scambio polemico nel dibattito pubblico. Questo fenomeno è talvolta favorito dall’adozione, da parte di quelle figure che dovrebbero costituire il pubblico colto, degli stessi registri linguistici e comunicativi propri della disputa, rendendoli corresponsabili del processo sopradescritto. Tale disgregazione, secondo Marshall Van Alstyne ed Erik Brynjolfsson, è uno dei possibili esiti dell’azione delle IT, le quali possono «in determinate circostanze, portare ad un incremento nella frammentazione delle interazioni sociali ed intellettuali». La progressiva erosione dei confini geografici e il conseguente incremento in termini di connettività garantito dalle IT, scontrandosi coi limiti propri della capacità umana di processare informazioni, può facilitare «la generazione e il rafforzamento di comunità periferiche che condividono un’ideologia comune, ma sono disperse geograficamente» (Van Alstyne & Brynjolfsson 2005)  e i cui confini sono segnati dai propri interessi particolari. La disputa si candida ad essere la forma privilegiata di scambio tra queste comunità, alimentando essa stessa, per sua natura e attraverso l’adozione delle ICT come medium, dinamiche di natura conflittuale. La ri-costruzione del villaggio globale passa anche attraverso un progressivo depotenziamento del carattere animato e identitario della disputa mediante uno spostamento del suo focus dalle differenze di attitudine, sentimento e preferenza individuale a questioni di merito; un’eventuale pubblico colto che si proponesse di assolvere a tale compito si troverebbe ad assumersi la responsabilità di una terza funzione, ulteriore rispetto alle due individuate da Marcelo Dascal, ossia quella di impegnarsi attivamente nella realizzazione di campagne di sensibilizzazione e contrasto alla disinformazione e alla misinformazione e nella promozione di forme argomentate di dibattito, attraverso un ripensamento dei modi di utilizzo delle ICT e dei social media.

Riferimenti bibliografici

Dascal M. (1998). Types of polemics and types of polemical moves, in S. Cmejrkova & J. Hoffmannova & O. Mullerova & J. Svetla (Eds.), Dialogue Analysis VI (pp. 15-33).Tubinga: Max Niemeyer

Dascal M. (2020). Comprendere le controversie, In G. Scarafile (Eds), La Bilancia della Ragione (pp. 63-76). Pisa: ETS

Van Alstyne M., Brynjolfsson E. (1996)  Electronic Communities: Global Villages or Cyberbalkanization? (Best Theme Paper), ICIS 1996 Proceedings, 5, 1-32

Van Alstyne M. & Erik Brynjolfsson (2005). Global Village or Cyber-Balkans? Modeling and Measuring the Integration of Electronic Communities. Management Science, 6, 851- 868

Gatti che manovrano satelliti

In Direttore, editoriale, Uncategorized on 9 January 2021 at 9:57 AM

Trasformazioni del lavoro nell’età della pandemia

Giovanni Scarafile

Sparkle è il nome del gatto bianco e marrone di Daniel Lakey, un ingegnere aerospaziale impegnato nella missione Solar Orbiter dell’Agenzia Spaziale Europea. Un giorno, durante una importante call, mentre Daniel era collegato da casa, Sparkle è saltato sulla scrivania reclamando le attenzioni del suo padrone, il cui lavoro consiste nel gestire un satellite in volo a milioni di chilometri dalla Terra. Ne ha parlato Marina Koren sul The Atlantic (One Thing Space Agencies Must Watch Out for Now: Cats), rassicurando sull’esistenza di protocolli di sicurezza in grado di mettere al riparo un oggetto costosissimo come un satellite dalle carenze affettive di un gatto.

La vicenda di Sparkle, la sua imprevista presenza in una riunione di lavoro dell’ESA, è utile per farci capire quanto sia diventata ordinaria nell’età dello smart working l’intersezione dei nostri spazi vitali. Come non ricordare, in proposito, la celebre irruzione dei figli del prof. Robert Kelly, durante un’intervista in diretta alla BBC del marzo 2017?

Una delle conseguenze del protrarsi della pandemia da Covid-19 è stata di rendere pressoché stabile una situazione d’emergenza come il lavoro da casa. Ciò ha contribuito a produrre una silente ma inesorabile trasformazione del paradigma del lavoro cui eravamo abituati. Infatti, se, prima della pandemia, la distinzione tra tempo del lavoro e tempo del riposo era considerato vieppiù normale, con l’avvento dello smart working, tale distinzione si è svuotata di significato. Agevolati dalla virtualizzazione consentita dalle nuove tecnologie, abbiamo provato l’ebbrezza della quasi simultanea presenza in luoghi diversi, un tempo impensabile. E così, è divenuto del tutto consueto prendere parte durante la stessa giornata lavorativa a numerose riunioni telematiche; inviare e ricevere email anche in orari notturni o, all’inizio di una nuova giornata, aspettarsi che il nostro interlocutore abbia già letto un documento inviatogli la sera prima.

In pratica, non soltanto lo spazio di lavoro è divenuto altro rispetto a ciò cui eravamo abituati (con buona pace dei gatti e dei figli del prof. Kelly), ma lo stesso corpo del lavoratore si è, per così dire, smaterializzato. Il diritto ad essere il corpo che siamo (e, dunque, anche il diritto alla stanchezza) ha lasciato spazio ad una costante operatività che, di fatto, ci rende mere funzioni delle applicazioni che siamo chiamati ad utilizzare per lavorare a distanza.

È proprio la pervasività di tali trasformazioni a richiedere l’adozione di una rinnovata etica del lavoro. Va detto che, dal punto di vista normativo, le leggi non mancano. Per esempio, la Loi Travail dell’agosto 2016, in Francia, aveva stabilito per il lavoratore un diritto alla disconnessione. Con esiti analoghi si è mossa anche la legislazione italiana, con la legge sul lavoro agile 81/207 del maggio 2017 o più recentemente con il CCNL relativo al personale del comparto Istruzione e Ricerca 2016/2018, dell’aprile 2018.

L’esperienza di ciascuno di noi, tuttavia, tristemente segnala la difficoltà di tali riferimenti normativi ad essere accolti nelle pratiche quotidiane condivise, soprattutto nei rapporti lavorativi di tipo orizzontale, un ambiente ibrido in cui è pressoché impossibile discernere la dimensione professionale, soggetta alle leggi, da quella relazionale, per certi versi più anarchica. Per fare un esempio personale, è del tutto plausibile che, in un messaggio inviato di Capodanno, una collega, approfittando degli auguri, inserisca anche informazioni lavorative che avrebbero potuto tranquillamente essere condivise dopo la ripresa delle attività accademiche.

Di fronte alle trasformazioni delle dinamiche del lavoro in cui siamo immersi, scrollare le spalle, aspettando che esse svaniscano con l’auspicabile venir meno degli eventi avversi che le hanno generate, è controproducente. Ci sono, anzi, buone possibilità che proprio quelle dinamiche siano destinate a permanere, anche quando l’emergenza sanitaria sarà finalmente superata.

Per questo, il gatto che, frapponendosi tra noi e la tastiera, reclama la nostra attenzione continua a ricordarci la nostra dimensione relazionale di cui forse dovremmo maggiormente essere gelosi custodi.